Concorrenza sleale: come tutelarsi con le investigazioni aziendali

Concorrenza sleale: come tutelarsi con le investigazioni aziendali

Per difendere la propria impresa da atti di concorrenza sleale è possibile avvalersi dell’operato di agenzie investigative per ottenere prove legalmente utili in sede di giudizio

Per concorrenza sleale si intendono tutti quei comportamenti messi in atto da una persona o un’azienda, solitamente concorrente, per acquisire una indebita posizione di vantaggio nei confronti dei propri competitor.

Il difficile contesto economico italiano, la crescente competitività dei mercati e le logiche dell’assegnazione a ribasso hanno spinto, soprattutto negli ultimi anni, molte società a porre in essere pratiche scorrette, lesive nei confronti della concorrenza e in alcuni casi dannose per i consumatori.

La concorrenza sleale è stata tutelata per la prima volta in ambito internazionale dall’art. 10 bis della Convenzione d’Unione di Parigi nel 1883. Nel nostro paese è disciplinata dalla legge n. 287/1990 e da norme speciali, tra cui l’art. 2598 c.c. del 1942, che individua tutte le attività dirette ad appropriarsi illegittimamente dello spazio di mercato, ovvero della clientela del concorrente.

Lo scopo della norma è quello di imporre alle imprese operanti nel mercato regole di correttezza e di lealtà, in modo che nessuna si avvantaggi, nella diffusione e collocazione dei propri prodotti, con l’utilizzo di metodi contrari all’etica commerciale.

Il legislatore ha previsto anche una seconda tipologia di tutela, di natura extra-giudiziale, coinvolgente l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato. La normativa Antitrust, rappresentata dalla Legge 287 del 1990, è finalizzata ad evitare l’insorgenza di comportamenti commerciali anticoncorrenziali, come per esempio gli accordi tra imprese a svantaggio di altre imprese concorrenti. Al riguardo, in caso di accertamento positivo, sarà sua cura convocare le parti e tentare una risoluzione della questione in via stragiudiziale.

Concorrenza sleale tra aziende

I requisiti necessari per la configurazione della concorrenza sleale tra aziende sono:

  • il soggetto danneggiato deve essere un imprenditore
  • l’imprenditore danneggiato deve operare in concorrenza con l’imprenditore sleale, anche qualora non si trovino nello stesso settore.

I casi di concorrenza sleale includono atti di:

  • confusione, quando si usano nomi o segni distintivi che creano confusione con quelli utilizzati in modo legittimo da altri o quando i prodotti creano una possibile confusione con quelli di altri prodotti di un concorrente
  • denigrazione e appropriazione, cioè la diffusione di notizie tendenziose e giudizi diffamanti sui prodotti e sulle attività di un concorrente, che possono determinare discredito degli stessi, o l’appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente
  • contrari alla correttezza professionale, qualsiasi altro atto, implicito o esplicito, non conforme ai principi di correttezza professionale con cui si rechi danno ad un’impresa concorrente. Tali pratiche includono, per esempio, il dumping, ovvero la vendita dei propri prodotti a basso costo per eliminare i concorrenti, la violazione del patto di non concorrenza, spionaggio industriale e dipendente infedele.

Non costituisce, per esempio, attività di concorrenza sleale la pubblicità comparativa, mediante la quale l’imprenditore mira a rendere noto alla clientela che il proprio prodotto ha delle caratteristiche diverse da quello della concorrenza, a meno che la suddetta comparazione non si traduca per il contenuto e per la forma nella denigrazione dell’altrui prodotto.

Concorrenza sleale dipendente ed ex dipendente

La concorrenza sleale dipendente si configura quando lo stesso svolge delle attività che siano, anche solo potenzialmente, in grado di danneggiare l’azienda. In questo caso viola l’obbligo di fedeltà, rischiando di licenziamento per giusta causa.

Ogni lavoratore dipendente ha, infatti, l’obbligo di fedeltà nei confronti dell’impresa che lo ha assunto. L’articolo 2105 c. c. disciplina questo rapporto“Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione  dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

L’obbligo di non concorrenza decade al termine del contratto di lavoro subordinato. Il lavoratore non deve, quindi, più attenersi al divieto di concorrenza sleale, ma rimangano validi gli aspetti che riguardano la riservatezza di informazioni e know-how.


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In merito all’obbligo di fedeltà, infatti, l’art. 2105 c. c. ne delinea due distinti doveri: il divieto di concorrenza e l’obbligo di riservatezza, ovvero di segretezza. A differenza del divieto di concorrenza, che cessa al momento dell’estinzione del rapporto di lavoro, l’obbligo di riservatezza permane intatto anche successivamente alla cessazione del rapporto.

In entrambi i casi l’onere della prova, per legge, spetta al datore di lavoro. Accertare la condotta di un dipendente infedele è, però, un’operazione complessa, non è sempre facile dimostrare le sue responsabilità.

Patto di non concorrenza

Uno dei modi per le aziende di tutelarsi è sottoscrivere il patto di non concorrenza. Si tratta di un accordo scritto tra il datore di lavoro e il dipendente che limita l’attività professionale di quest’ultimo dopo la fine del rapporto di lavoro. Con questo accordo l’imprenditore si impegna a corrispondere al lavoratore una somma di denaro a fronte dell’impegno a non svolgere attività concorrenziali per un certo periodo di tempo successivo alla cessazione del contratto.

Distinto dal rapporto contrattuale, costituisce un accordo a sé stante e può essere stipulato al momento dell’assunzione, durante lo svolgimento del rapporto di lavoro o al termine. La violazione del patto costituisce inadempimento contrattuale e legittima le richieste di adempimento o di risoluzione del contratto e/o di risarcimento del danno per responsabilità contrattuale.

Come tutelarsi con le investigazioni aziendali

Per difendere la propria impresa da atti di concorrenza sleale e tutelare il patrimonio aziendale, la legge consente di avvalersi dell’operato di agenzie investigative, come Revela, al fine di individuare i colpevoli e le dinamiche dell’illecito.

Le investigazioni aziendali sono finalizzate a provare atti di concorrenza sleale e ad ottenere prove legalmente utili al fine di far valere un proprio diritto, facendo riferimento alla legislazione italiana.


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È possibile, per esempio, analizzare le attività di soci e collaboratori, eventuali legami con aziende concorrenti e sviamenti della clientela e ancora indagare sulla tutela di marchi e brevetti. La finalità delle indagini è quella di raccogliere prove valide e lecite, per permettere all’azienda di intraprendere un’azione legale e ottenere la cessazione della condotta in via cautelare.

Per denunciare un atto di concorrenza sleale è necessario, però, depositare un ricorso dinanzi al Tribunale di competenza: l’art. 2599 c.c. prevede che “La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti”.

Inoltre, il danneggiato può chiedere ed ottenere il risarcimento del danno, in forza dei principi generali relativi alla responsabilità per atto illecito, purché concorra il requisito soggettivo del dolo o della colpa del concorrente che si sia reso autore delle denunziate violazioni.

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