Legge 104, quando l’abuso dei permessi comporta il licenziamento?

Legge 104, quando l’abuso dei permessi comporta il licenziamento?

L’abuso Legge 104 può comportare il licenziamento per giusta causa e la denuncia per truffa ai danni dello Stato. Per ottenere prove legali è utile affidarsi a professionisti di investigazioni aziendali

La Legge 104 del 5 febbraio 1992 è un valido aiuto da parte dello Stato per coloro che si ritrovano a dover assistere qualcuno in famiglia con particolari esigenze. Alcune categorie di lavoratori hanno, infatti, diritto ad usufruire di ore e/o giornate di permesso retribuite per prestare, appunto, assistenza.

Ne consegue che il lavoratore che usa i permessi per svolgere attività diverse da quelle di assistenza si rende colpevole di un abuso di diritto ai danni del datore di lavoro, della collettività e dello Stato e, per questo, potrebbe persino essere sanzionato con il licenziamento.

Permessi di lavoro con Legge 104 92

I permessi Legge 104, come già detto, consentono ad alcune categorie di lavoratori di usufruire di ore o giornate retribuite per prestare assistenza ai familiari disabili. Sono previste tre modalità diverse:

  • tre giorni di permesso in un mese, che si possono utilizzare anche in modo frazionato
  • due anni di congedo straordinario durante l’attività lavorativa. Anche in questo caso si può richiedere in modalità frazionata
  • congedo parentale per figli disabili prolungato per la durata massima di tre anni.

I permessi giornalieri o frazionati e il congedo straordinario danno diritto alla retribuzione piena a carico dell’Inps, ma è anticipata dal datore di lavoro. L’adesione a queste misure è possibile solamente per una prestazione effettiva di assistenza di un soggetto in favore della persona disabile per cui è riconosciuto il sostegno.

Le novità della Legge 104

Con la circolare n. 36 del 7 marzo 2022, l’Inps ha fornito nuove istruzioni operative in merito ai permessi 104, riconoscendo ulteriori gradi di parentela ed estendendo i benefici in favore dei lavoratori del settore privato.

Le principali novità riguardano, dunque, l’estensione dei gradi di parentela anche quando c’è una convivenza di fatto o un’unione civile. Il diritto ai permessi 104 va riconosciuto all’unito civilmente, oltre che per assistere l’altra parte dell’unione, anche a un parente dell’unito.

Questa estensione, però, non riguarda i conviventi o le coppie di fatto. Pertanto, a differenza di quanto avviene per i coniugi e gli uniti civilmente, il “convivente di fatto” può usufruire dei permessi unicamente nel caso in cui presti assistenza al convivente e non nel caso in cui intenda rivolgere l’assistenza a un parente del convivente.

Il decreto legislativo prevede, dunque, che i permessi potranno essere richiesti per l’assistenza a persone con disabilità grave, non ricoverate a tempo pieno, (legge 104 art 3 comma 1) rispetto alle quali il lavoratore sia:

  • coniuge
  • parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76
  • convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge n. 76/2016
  • parente o affine entro il secondo grado.

I permessi 104 diventano, inoltre, alternati, possibilità precedentemente non riconosciuta. Fermo restando il limite complessivo dei tre giorni di permesso mensile, la richiesta potrà essere fatta anche da più soggetti tra quelli sopra elencati, che potranno quindi usufruirne per assistere la stessa persona.

Abuso legge 104 permessi

L’abuso dei permessi retribuiti per l’assistenza di un familiare disabile si concretizza quando durante le ore di assenza da lavoro si svolgono mansioni diverse a quelle necessarie per l’assistenza del disabile.

È importante precisare che, in questo caso, il concetto di assistenza supera la semplice e materiale attività consistente nell’accudire il soggetto disabile. Questo vuol che si possono svolgere anche altre attività che l’assistito non può compiere autonomamente, in quanto funzionale all’interesse del medesimo.

Sono compatibili con i permessi 104 lo svolgimento di commissioni personali di breve durata e di carattere essenziale, come fare la spesa, acquistare le medicine e accompagnare i figli a scuola.

È considerato, invece, abuso usufruire delle ore di permesso per fini personali e ricreativi, quali per esempio fare viaggi di piacere o anche semplicemente oziare.

In sostanza non sono richieste una prestazione continuativa e una presenza costante, tuttavia la legge impone che gran parte del tempo venga destinato all’assistenza del disabile.

Il licenziamento per giusta causa

Il datore di lavoro può applicare sanzioni che portano al licenziamento per giusta causa del lavoratore titolare di permessi legge 104 qualora le ore di assenza dal lavoro siano utilizzate per svolgere attività personali diverse da quelle riconducibili all’assistenza.

Il licenziamento è l’atto con il quale l’azienda pone fine, unilateralmente, al rapporto di lavoro, a prescindere dalla volontà del dipendente. Sulla base di quanto disposto dalla Legge n. 604 del 15 luglio 1996 dello Statuto dei lavoratori e della Legge n. 108 del 11 maggio 1990, il datore di lavoro può licenziare un dipendente soltanto per giusta causa, per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) oppure un licenziamento collettivo.

L’abuso dei permessi 104 non comporta, però, sempre il licenziamento. Spetta al giudice verificare la congruità della sanzione applicata dal datore di lavoro, tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di una valutazione della sua gravità.

Si tiene conto, insomma, di diversi aspetti: dell’intenzione del lavoratore di frodare l’azienda, dell’importanza delle mansioni da lui ricoperte, di eventuali precedenti disciplinari del dipendente, della durata del rapporto di lavoro.

Come dimostrare un abuso di legge 104

La legge consente ai datori di lavoro di ricorrere agli investigatori privati anche davanti al solo mero sospetto che i dipendenti possano tenere condotte illecite, con l’obiettivo di accertare un utilizzo improprio dei permessi per assistere i familiari disabili.

Con l’Ordinanza n. 11697/2020 la Cassazione ha, infatti, ribadito il diritto del datore di lavoro di rivolgersi a una agenzia investigativa per tenere sotto controllo i comportamenti del dipendente.


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L’onere della prova spetta, quindi, al datore di lavoro. Il solo sospetto non basta a dimostrare che l’impiegato stia mentendo, ma occorrono prove concrete e accertate che solo le indagini aziendali possono dare. Queste hanno lo scopo di tutelare le aziende da danni finanziari e reputazionali che potrebbero, appunto, scaturire dai comportamenti illeciti.

Le investigazioni aziendali di Revela

Per accertare e provare che sussiste un abuso è utile affidarsi a professionisti di investigazioni aziendali, come Revela, al fine di ottenere prove legali dell’eventuale scorrettezza del dipendente.

Occorre precisare che lo Statuto dei lavoratori vieta i controlli a distanza dei dipendenti, ma solo quando questi ultimi avvengano all’interno del luogo di lavoro. Una volta varcati i cancelli dell’azienda e cessato il turno, è difatti possibile effettuare pedinamenti, filmati, fotografie e, più in generale, raccogliere prove circa l’infedeltà del dipendente.


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Il report finale dell’investigatore, costituito da prove documentate, assume così un valore di prova all’interno del processo civile nella causa di licenziamento. L’utilizzo abusivo dei permessi retribuiti per l’assistenza a familiari disabili, non solo giustificano il licenziamento per giusta causa, ma può dar luogo anche a un procedimento penale per truffa ai danni dell’Inps.

Infine, il lavoratore che ha commesso l’illecito rischia di vedere decadere tutti i benefici concessi in virtù della Legge 104/92 e di dover restituire le somme percepite fino a quel momento.

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